Roberta Valtorta per il volume "Modus Videndi" Idea Books. 1989
Le storie di Radino
Francesco Radino racconta spesso delle storie. Sono piccole invenzioni dentro il discorso, per esordire, per riposare, per chiudere: collocate qua e là, come oggetti in una camera. In queste storie — cose da niente, piccoli scherzi, giochi di parole — si affacciano, parallele fra loro, percettivamente quasi separate, allegria e malinconia. Come nella voce di un bambino che reciti una poesia, le parole qua e i pensieri altrove. Francesco Radino a volte recita anche una poesia, oppure canta una canzoncina. Scherzando, serissimo.
Questa raccolta di fotografie scelte dalle molte realizzate in dieci anni, dal 1979 al 1989, ha per titolo Modus Videndi. Un modo di vedere, la fotografia, ma sotto sotto un modo di vivere: un lavoro ma anche una passione che tiene in vita. Radino questa volta si serve di una forma latina, nella quale non l'etimologia ma la fonetica, tenendo accostati il vedere e il vivere, lontani invece nella lingua italiana, aiuta a giocare. La fotografia è, per Radino, qualcosa su cui con molta serietà scherzare, qualcosa di molto necessario che però deve essere sdrammatizzato.
Ho pensato alle note considerazioni freudiane sul comico e sul motto di spirito, i significati del quale — risparmio di energia psichica, modo per rinnovare il rapporto con la vita infantile perduta, funzione di conquista e seduzione, tentativo di padroneggiare l'aggressività — sono stati molte volte ripresi e studiati. Ho riletto il contributo che a questo proposito da Ernst Kris nel suo Ricerche psicoanalitiche sull'arte, un volume che già molti anni fa mi sembrò interessantissimo.
Con il motto di spirito l'antica magia delle parole viene per un attimo resuscitata, per un attimo le parole toccano le cose.
È venuto spontaneo iniziare il discorso con qualche parola su Radino, non perché l'intenzione sia quella di descrivere la persona, ma perché a questa scelta di scrittura ha indotto l'osservazione delle fotografie di questo autore. Formalmente molto essenziali, ripulite da ogni residua traccia di spettacolarità, parlano un linguaggio di brevità, di ironia, di lontana dolcezza, nostalgia e desiderio di armonia: un linguaggio apparentemente semplice, che chiede di essere indagato. Ma di fronte a queste parole Radino inizierebbe immediatamente a scherzare.
Rapidità e leggerezza
Ho qui, sul mio tavolo, le Lezioni americane di Italo Calvino. Dal fondo bianco della copertina del libro Calvino, una mano che sostiene il mento e copre in parte la bocca, mi guarda con i suoi occhi appuntiti.
Alcuni valori della letteratura che Calvino individua come specifi e proiettabili nel "nuovo millennio" sembrano adattarsi molto bene alle fotografie di Radino. Essi sono la leggerezza ("sottrazione di peso alla struttura del racconto e al linguaggio") e la rapidità ("ricerca di un'espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile").
Non si intende qui stabilire un confronto fra fotografia e letteratura per quanto concerne i loro diversi linguaggi (un universo enorme da indagare), ma, in modo più mirato, tentare qualche riflessione sull'idea stessa di racconto.
Il termine, che viene usato con grande frequenza e grande sicurezza in fotografia, è decisamente mediato dal linguaggio della letteratura. Ma mentre il romanzo, la novella, la fiaba, anche il poemetto in prosa sono sviluppi narrativi determinati da una precisa continuità e articolazione (aspetti che si ritrovano anche nelle forme sperimentali, in fondo), il racconto fotografico è assolutamente segnato dalla frammentazione e dalla discontinuità. La fotografia preleva zone di realtà e le ripresenta ai nostri occhi: non spiega nulla di ciò che sta al di fuori dell'inquadratura (per questo è interessante guardare quali elementi della composizione stanno ai bordi di una fotografia) e indirizza la nostra attenzione unicamente su un frammento, un ritaglio. In questo senso, ogni fotografia è, più che un racconto, la base di un racconto, la presentazione di una scena alla quale soltanto lo sguardo e la cultura dell'osservatore attribuiranno il senso di uno svolgimento, un prima, un dopo, un perché. L'immagine fotografica è dunque spesso un vero e proprio mistero. E proprio per questo, il fotografo attraverso serie di fotografie realizzate in uno stesso luogo, in uno stesso tempo, su uno stesso soggetto tenta un'opera di ricucitura, di completamento: tenta di articolare un discorso fatto di frammenti. Il racconto in fotografia è quindi da intendersi secondo due diverse accezioni: il racconto — misterioso — interno ad ogni fotografia e il racconto — più evidente — formato da più fotografie.
Esiste, per ogni fotografo, una misura in base alla quale egli affronta un tema.
La misura di Radino è la rapidità. Un senso di autoironia, forse di pudore, impedisce a questo autore di prolungare la narrazione oltre un certo tempo, dunque oltre un certo numero di fotografie. Sono lontani dai modi espressivi di Radino la narrazione monumentale, insistente, la possente catalogazione, il ritorno ossessivo sul soggetto, il divagare, che caratterizzano talvolta la fotografia. Il suo lavoro si orienta piuttosto verso una sintesi e una concentrazione di tipo poetico. Per le stesse ragioni, la narrazione di Radino può definirsi allusiva, leggera. Scrive Calvino: "Come la melanconia è la tristezza diventata leggera, così lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea (...) e mette in dubbio l'io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono". La fotografia è un moderno, disincantato, enigmatico "linguaggio senza codice", come indica ambiguamente Barthes, che, come uno specchio, mostra che tutte le immagini sono possibili e che il reale è indescrivibile.
La fotografia, nel riferirsi a una realtà non inventata ma fisicamente esistente e dotata di una struttura che è frutto a sua volta della convivenza di molti linguaggi, è sincera e ironica. Forse la capacità prima di Radino è proprio quella di sorridere, ogni volta, sulla potenza infinita e sui limiti della fotografia.
Versatilità e apertura
Questo libro di Radino raccoglie sei storie, nate in luoghi e occasioni diverse. Parlano di uomini, piante, animali, opere d'arte, oggetti, macchine, alberi e case. Come in un inventario del mondo, le storie di Radino parlano di tutto. Ma non è vero: parlano soprattutto della convivenza, ora risolta ora durissima, fra la natura e le cose costruite dagli uomini. Se sembrano, ad un primo sguardo, parlare di tutto, ciò è dovuto alla versatilità di questo autore, al suo eclettico procedere in una ricerca orientata non tanto verso un che cosa quanto verso un come.
Penso, inaspettatamente — ma nessuna associazione è mai casuale —, di nuovo a una esperienza letteraria, e ad alcune "note su ciò che cerco" contenute nel curioso libro di Georges Perec dal titolo Pensare/classificare. Egli scrive: "Se tento di definire ciò che ho cercato di fare da quando ho cominciato a scrivere, la prima cosa che mi viene in mente è che non ho mai scritto due libri simili (...). La mia ambizione di scrittore sarebbe quella di percorrere tutta la letteratura del mio tempo senza mai avere la sensazione di ritornare sui miei passi (...)".
Fotografare il mondo elasticamente, nel tentativo di uscire dal legame con il luogo, dal legame con il tempo, sembrerebbe la caratteristica finale dell'esperienza che Radino va costruendo. Nella sua professione, questo fotografo ha alternato con naturalezza il reportage all'architettura allo still-life, con sufficiente curiosità ed energia da sopportare committenze fra loro anche molto diverse. Delle immagini raccolte in questo libro, soltanto quelle che raffigurano una serie di oggetti incontrati sulla riva del mare sono nate al di fuori della committenza: tutte le altre sono state realizzate professionalmente, in base a committenze private o pubbliche. Conoscitore delle tecniche della fotografia nel senso più totale, raffinato stampatore, maestro naturale per chi lavora con lui, Radino non sente la necessità — tipica dei tempi nostri — di specializzarsi e di chiudere il suo lavoro dentro un genere, ma tende ad essere fotografo in assoluto, recuperando un poco la completezza delle prime figure ottocentesche di artisti-artigiani, senza per questo guardare al passato.
La fotografia come disegno
Al di là dei generi, la fotografia di Radino evolve nel tempo verso una sempre più precisa definizione di forme essenziali.
È interessante dunque cercare di arrivare a definire quello che Radino chiama modus videndi attraverso l'idea stessa di essenzialità.
La fotografia è una forma di rappresentazione altamente descrittiva che consente di leggere la realtà sia in grandi visioni d'insieme che in scandite analisi dei particolari. Ciò che in fotografia chiamiamo abitualmente composizione è, anzi, proprio la sottomissione delle possibilità tecniche del linguaggio alla trascrizione dei significati che nascono dalle relazioni interne all'immagine. Questo era, in fondo, il senso ultimo dello stesso "momento decisivo" di Cartier Bresson. Considerato dunque che dentro il rettangolo dell'inquadratura al fotografo è dato scegliere fra molteplici relazioni fra piccoli oggetti — in una narrazione complessa, saltellante — oppure pochi, essenziali rapporti fra alcuni oggetti soltanto o fra zone diverse dell'immagine — in un racconto più pacato, sintetico —, Radino preferisce il secondo modo. Le fotografie di Radino hanno spesso un solo protagonista, oppure vivono del rapporto fra un attore e un contesto, oppure ancora di pochi dialoghi all'interno del campo visivo. Radino disegna sulla superficie della fotografie alcune linee essenziali a definire campiture che pochi oggetti, oppure soltanto la luce e l'ombra, andranno a colmare.
Figlio di genitori entrambi pittori — soprattutto paesaggista il padre, lucano, Vincenzo, ritrattista invece la madre, toscana, Olga Milani, formatisi entrambi nel realismo del Novecento di Ottone Rosai e Felice Carena —, oltre che nipote di un valido fotografo dilettante, Francesco Milani, Radino ha familiarizzato con un modo di concepire l'immagine primariamente come organizzazione spaziale del campo visivo. Laddove, poi, la pittura si arricchisce di valori materici, nella fotografia di Radino si presentano molto spesso texture, che coprono gli sfondi o i soggetti stessi, che rendono più complesso e articolato il disegno principale. Concorre infine a completare questo lavoro di variegazione della superficie della fotografia la scelta del bianco e nero, con la raffinata resa delle tonalità che esso consente.
Non si intende, qui, proporre un paragone fra fotografia e pittura: esso non si risolverebbe comunque in termini semplicemente tecnici o formali. Il riferimento all'attività pittorica dei genitori riconduce però l'evidente tendenza di Radino a disegnare la superficie delle sue fotografie ad una importante, prolungata esperienza non di tipo scolastico, ma familiare ed esistenziale.
Questa possibile lettura della essenzialità della fotografia di Radino, al di là dei generi e al di là delle committenze, è rafforzata anche dal fatto che alcuni temi della pittura del padre ritornano con frequenza nella fotografia del figlio. Il principale di questi è l'albero, figura di noto valore simbolico — fertilità pagana, redenzione cristiana — sulla quale Vincenzo Radino condusse ripetuti studi e che Francesco Radino rende molto spesso protagonista delle sue immagini. L'ampio solitario ingombro della chioma controluce, la struttura forte paragonata alle strutture architettoniche, il folto del verde e dei rami, la miriade di foglioline di un cespuglio, un albero rovesciato in un ambiente assurdo tutto ricostruito alla rovescia, le foglie mosse dal vento, l'albero e la sua ombra, due alberi a formare il sipario di una scena, un grande albero e un bambino che si copre la testa, il figlio stesso di Radino: sono molti e diversi, questi alberi — presenze forti, molto più importanti di semplici elementi del paesaggio.
Alcune letture parallele:
Rudolf Arnheim. Arte e percezione visiva, Milano 1962 (ed. or. Artand Visual Perception, University of California 1954);
Rudolf Arnheim, Verso una psicologia dell'arte, Torino 1969 (ed. or. Towarda Psychology ofArt, Berkeley and Los Angeles 1966);
Max Aub, Delitti esemplari, Palermo 1981 (ed. or. Crimenes ejemplares, Mexico 1957);
Roland Barthes, La camera chiara, Torino 1980 (ed. or. La chambre claire, Paris 1980);
Roland Barthes, L'ovvio e l'ottuso, Torino 1985 (ed. or. L'obvie e l'obtus, Paris 1982);
Carlo Bertelli, L'immagine fotografica. Storia d'Italia, Torino 1979;
Italo Calvino, Lezioni americane, Milano 1988:
Dominique Gaessier, Les Grands Maîtres du Tirage, Paris 1887 ; Peter Galassi, Prima della fotografia, Torino 1988 (ed. or. Before Photography. New York 1981);
James Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte, Milano 1983 (ed. or. Dictionary of Subjects and Symbois in Art, London 1974);
David Katz, La psicologia della forma, Torino 1979 (ed. or. Gestaltpsychologie München 1984);
Ernst Kris, Ricerche psicoanalitiche sull'arte, Torino 1957
(ed. or. Psychoana/itic Exp/orations in Art, International Universities
Press1952);
Georges Perec, Pensare/classificare, Milano 1989 (ed. or. Penser/classer, Paris 1985);
Ruggero Pierantoni, L'occhio e l'idea, Torino 1981;
Ruggero Pierantoni, Forma Fluens, Torino 1986;
Aaron Scharf, Arte e fotografia, Torino 1979 (ed. or. Artand Photography, London 1968).
The stories of Radino
Francesco Radino often tells stories. They are small stories, minor inventions within a larger discourse, designed as prolo¬gue, repose, conclusion: they are dropped in here and there, like objects in a room.
In these stories — throw-away items, little jokes, puns — cheerfulness and melancholy appear, along parallel lines, al¬most separated one from another. It is like the voice of a child reciting poetry, whose words are here and whose thoughts are elsewhere.
Francesco Radino at times recites a poem, or sings a little song. In jest, in utter seriousness.
This collection of photographs, selected among the many photographs taken over the past ten years (1979-1989), is entitled Modus Videndi. Photography is a way of seeing, but, in the final analysis, it is also a way of living. It is a job but it is also a passion that keeps one alive. Radino, in his use of a Latin title, employs not etymology but phonetics to connect seeing and living, which are distant in Italian.
Photography, for Radino, is something to play with in utter se¬riousness, something terribly necessary that should be taken with a grain of salt.
I thought of Freud's well-known observations concerning hu¬mor and witticisms, the meanings of which — the conservation of psychic energy, a method for renewing one's links with the lost world of childhood, the function of conquest and seduction, the attempt to control one's aggressiveness — have been insistently studied and analyzed. I reread the essay that Ernst Kris offers on this topic in his volume, Psychoanalytic Explorations in Art, a book that struck me as very interesting years ago. With the witticism, the ancient magic of words comes to life again for a moment, and for an instant words again come into direct contact with things.
I spontaneously chose to open this essay with a few words on Radino, not because my intention was to describe him as a person, but because my observation of his photographs led me to choose this approach. These photographs are extremely spare, scoured of all residual traces of showmanship;
they speak a language of brevity, irony, distant sweetness, nostalgia, and a desire for harmony — an apparently simple language, which invites investigation. But Radino himself, reading these words, would immediately begin to joke.
Lightness and Quickness
I have a copy of Six Memos for the Next Millennium, by Italo Calvino, on my table. On the cover of the book, Calvino, with a hand propped under his chin and partially covering his mouth, looks at me with his sharp eyes.
Certain of the values of literature that Calvino indicates as specific to and adaptable in the "next millennium" seem particularly appropriate to the photography of Radino. They are quickness ("the search for a necessary, unique, dense, con¬cise, and memorable form of expression") and lightness ("the subtraction of weight from the plot structure and from the language").
I have no intention of making a comparison between photography and literature, with respect to their different languages (an enormous universe to be investigated); rather, in a more specific way, I want to attempt a few considerations on the very idea of narrative.
This word, which is used often and with great confidence jn the field of photography, is quite clearly borrowed from the language of literature.
While novels, short stories, fables, and even prose poems are narrative structures conditioned by a precise continuity and articulation (even in their most experimental forms, in the final analysis), photographic narrative is unquestionably marked by fragmentation and discontinuity.
Photography extracts zones of reality and represents them to our eyes: it explains nothing of what lies outside of the shot (it is for this reason interesting to note which elements of the composition lie at the borders of a composition) and directs our attention solely to a fragment, a clipping. In this sense, every photograph is, more than a narrative, the foundation of a narrative, the presentation of a scene to which only the gaze and the culture of the observer can attribute the significance of an event, a before, an after, a reason why. In this sense, photographic images are often full-fledged mysteries. And for that very reason, photographers — through series of photographs taken in the same place, in the same time, of the same subject — attempt a sort of stitching together, a sort of completion. They try to articulate a discourse made up of fragments.
Photographic narrative should therefore be understood according to two different acceptations: the mysterious narrative contained in each photograph, and the more evident narrative formed by several photographs.
There exists, for every photographer, a standard according to which he attempts to deal with subjects.
For Radino that standard is quickness. A sense of self-deprecating irony, perhaps of modesty, prevents this photographer from prolonging his narrative beyond a certain period, and therefore beyond a certain number of photographs. The monumental, insistent narrative, overwhelming catalogues, obsessive returns to a subject, tangents (approaches that at times typify photography) - are all distant from Radino's expressive modes. His work is oriented toward synthesis and concentration of a poetic sort.
For the same reasons, Radino's narrative could be described as allusive, or light. Calvino wrote: "Just as melancholy is sadness that has become light, humor is comedy that has lost its corporeal weight (...) and questions the self and the world and the entire network of relationships that make up the world."
Photography is a modern, disillusioned enigmatic "language without a code," as Roland Barthes ambiguously puts it; like a mirror, it shows that all images are possible and that reality is indescribable. Photography — in referring to a reality that is not invented, but which has a physical existence and an extremely complex structure, and which is in turn the result of the coexistence of a great number of languages — is at once sincere and ironic.
Perhaps Radino's first and greatest talent is his ability to smile, repeatedly, at the infinite power and the limitations of photography.
Versatility and openness
This book of Radino's work contains six stories, engendered in different places and on different occasions. They concern men, plants, animals, works of art, objects, machines, trees, and houses.
Almost as if they were inventories of the world, Radino's stories speak of everything. And yet, they actually speak of the coexistence — at times peaceful, and at times terribly harsh — between nature and man-made objects and systems. If these stories at first seem to speak of everything, that is a product of this photographer's versatility, his eclectic progress in a research project aimed at answering — more than the question what — the question how.
I think, unexpectedly — but no association is ever entirely haphazard — of another literary experience, some "Notes on what I am looking for," contained in Georges Perec's curious book, Penser/Classer. He wrote: "If I attempt to define what I have been trying to do since I began writing, the first thing that comes to mind is that I have never written two books that resembled each other (...) My ambition as a writer would be to move throughout all of the literature of my time without ever having the sensation of retracing my footsteps."
Photographing things in an elastic fashion, in an effort to escape from the bonds that tie one to a place or a time, would seem to be the definitive characteristic of the experi¬ments that Radino is constructing.
In his professional life, this photographer has shuttled with ease among fields as disparate as photojournalism, architectural photography, and still-lifes, with sufficient curiosity and energy to work on jobs that were quite different one from another.
Of the images assembled in this book, all but those that depict a series of objects found on the beach were commissioned works — they were all done as professional, assignments, for private or public use.
A master of photographic techniques in the most complete sense, a refined printer, and a natural teacher for all those who work with him, Radino does not feel the necessity (so typical of our times) to specialize and enclose his work within a single genre; rather he tends to work as a photographer in the absolute sense of the term, bit by bit re-establishing the completeness of the earliest artist/artisan photographers of the nineteenth century, although without gazing back at the past.
Photography as drawing
Beyond the question of genres, Radino's photography evolves overtime toward an increasingly precise definition of essential forms. It is therefore interesting to attempt to define what Radino calls his modus videndi through the very idea of essentiality. Photography is an extremely descriptive form of representation which allows us to read reality both in great overall visions and in carefully focused analyses of details. That which we customarily call composition in photography is actually the subordination of the technical potential of photographic language to the transcription of the meanings that spring from the relationships established within the context of the image. This was, in the final analysis, the ultimate meaning of Cartier Bresson's "decisive moment."
If we consider, then, that within the rectangle of the viewfinder, the photographer is allowed to choose among multiple relationships between small objects — in a complex and highly mobile narrative — or else a few, essential relationships among just a few objects or else among different zones of the image — in a more calm and synthetic narration — then we find that Radino chooses the latter approach.
Radino's photographs often have a single protagonist, or else they occupy the interior of a relationship between an actor and a context, or else a few dialogues within the visual field. Radino draws upon the surface of the photograph a few essential lines so as to define fields that a few objects — or else just light and shadow — will fill up.
Radino was the son of painters — his father, Vincenzo, was chiefly a landscape artist born in Lucania, in southern Italy; his mother, Olga Milani, born in Tuscany was a portrait painter. They both received their artistic education in the context of the Italian Novecento of Ottone Rosai and Felice Carena. Radino was also the grandson of an excellent amateur photographer, Francesco Milani. Radino grew up in contact with a concept of the image chiefly as a way of organizing the visual field in spatial terms. In those instances where painting is enriched by material values, the photography of Radino often exhibits textures, which cover the backgrounds and the subjects themselves, so as to render more complex and articulated the overarching design. The choice of black-and-white serves to complete this process of variegation of the surface of the photograph, with the refined yield of tonalities that thus becomes available,
There is no intention here of offering any comparisons between photography and painting — this could not at any rate be resolved in simply technical or formal terms.
The reference to the artistic activity of Radino's parents points out, however, that the photographer's evident tendency to draw the surface of his photographs dates back to an important and prolonged experience that was not acquired in any school but rather in the heart of his family and in his own existence.
This possible explanation of the essentiality of Radino's photographs — beyond any questions of genres and assignments — is reinforced also by the fact that certain themes of the father's paintings reappear with frequency in the photographs of the son. The principal element in this category is the tree, a figure of well-known symbolic value—pagan fertility, Christian redemption — and it was a symbol upon which Vincenzo Radino carried out a series of studies, and which Francesco Radino often incorporates into his images. The ample and solitary bulk of branches against the light, the powerful structure in contrast with architectural structures, the density of the greenery and of the branches, the myriad fine leaves of a bush, an upside-down tree in a setting that has been absurdly reconstructed in reverse, the leaves tossed by the wind, the tree and its shadow, two trees that form the curtains of a stage setting, a large tree and a child that covers its head (the child of Radino) — these trees are many and diverse: powerful presences, and much more than simple elements of a landscape.
Some parallel readings
Rudolf Arnheim. Arte e percezione visiva, Milano 1962 (ed. or. Artand Visual Perception, University of California 1954);
Rudolf Arnheim, Verso una psicologia dell'arte, Torino 1969 (ed. or. Towarda Psychology ofArt, Berkeley and Los Angeles 1966);
Max Aub, Delitti esemplari, Palermo 1981 (ed. or. Crimenes ejemplares, Mexico 1957);
Roland Barthes, La camera chiara, Torino 1980 (ed. or. La chambre claire, Paris 1980);
Roland Barthes, L'ovvio e l'ottuso, Torino 1985 (ed. or. L'obvie e l'obtus, Paris 1982);
Carlo Bertelli, L'immagine fotografica. Storia d'Italia, Torino 1979;
Italo Calvino, Lezioni americane, Milano 1988:
Dominique Gaessier, Les Grands Maîtres du Tirage, Paris 1887 ;
Peter Galassi, Prima della fotografia, Torino 1988 (ed. or. Before Photography. New York 1981);
James Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte, Milano 1983 (ed. or. Dictionary of Subjects and Symbois in Art, London 1974);
David Katz, La psicologia della forma, Torino 1979 (ed. or. Gestaltpsychologie München 1984);
Ernst Kris, Ricerche psicoanalitiche sull'arte, Torino 1957(ed. or. Psychoana/itic Exp/orations in Art, International UniversitiesPress1952);
Georges Perec, Pensare/classificare, Milano 1989 (ed. or. Penser/classer, Paris 1985);
Ruggero Pierantoni, L'occhio e l'idea, Torino 1981;
Ruggero Pierantoni, Forma Fluens, Torino 1986;
Aaron Scharf, Arte e fotografia, Torino 1979 (ed. or. Artand Photography, London 1968).