Roberta Valtorta per il volume "Reframe, le stanze del tempo" Fotografia Italiana Arte Contemporanea, 2007
Il bisogno di rivedere
Con il tempo è possibile osservare che il tessuto visivo che Francesco Radino va intessendo da anni si è sempre, direttamente o indirettamente, nutrito di parole: come se nelle sue fotografie la trama fosse costituita dalle immagini e l’ordito dalle parole.
Dire questo del lavoro di chi, da sempre, fotografa, potrebbe sembrare una forzatura di tipo letterario. Ma non è così.
Nel progettare e nel proporre il suo lavoro, Radino ha sempre fatto in modo che le sue fotografie fossero illuminate, e spesso pensosamente e ironicamente, dalle sue parole, talvolta invenzioni linguistiche. Modus Videndi si intitola, con un gioco di parole, il suo primo libro importante del 1989 che lo rende autore, che è peraltro organizzato in una serie di “racconti” visivi.
Morphosis è il titolo di un catalogo di Radino pubblicato nel 1992 in Giappone, forse meno noto di altre sue pubblicazioni ma assai significativo, nel quale ancora una volta il titolo orienta le immagini.
Mutazioni si intitola il libro che, uscito nel 1994, con una nuova complessità fa il punto sull’articolarsi del suo lavoro nel tempo e riflette sulla sua storia personale: ed è un libro che contiene anche molti suoi scritti.
Inside è il titolo del suo ultimo volume del 2001, e annuncia con chiarezza che la visione dell’autore si è sempre di più spostata dal mondo esterno al mondo interiore.
Ma il costante intreccio fra immagini e parole che segna il lavoro di Radino è confermato anche da due recenti lavori video After September Eleven e Storie di terra e di mare, realizzati nel 2002 e 2004, che si avvalgono di pause scritte l’uno, della voce stessa dell’autore che si fa narratore l’altro.
Reframe è il titolo che lega insieme i lavori recenti qui raccolti, organizzati ulteriormente in tre “stanze del tempo” anch’esse recanti titoli precisi, Metonimie, Stesso tempo, Re-visioni. Ancora una volta e in modo forse ancora più forte, quasi insistente,il senso del lavoro, anche la forma visiva che esso assume si legano intrinsecamente al titolo, anzi a una famiglia di titoli. Tutto esprime il bisogno di rivedere, riconsiderare, ripensare la fotografia, il tempo, la storia, in un gesto di personale totale rivisitazione del proprio lavoro e, crediamo, di se stesso.
Realizzate in Giappone, a Oropa, a Suor Orsola a Napoli, a S. Clemente a Roma, queste fotografie vanno indietro alla pittura, alle cose antiche, lontane, in cerca di sovrapposizioni, cancellazioni, ricostruzioni della visione: tutto è riinquadrato, riconsiderato, sottoposto all’azione dell’ombra, rivisto tecnologicamente.
Tutto in queste fotografie viene ridiscusso: l’inquadratura – motore della fotografia -, il rapporto fra bianco e nero – tanto a lungo frequentato e con sapienza coltivato da Radino – e colore – nuova dimensione del suo lavoro a partire dagli anni Novanta -, il nitido e lo sfuocato, la luce e l’ombra, la consistenza fisica delle cose reali e la trasparenza delle cose immaginate e del pensiero stesso che le immagina, la lontananza delle figure della storia dell’arte e la vicinanza della tecnologia che può, oggi, rivisitarle e rianimarle.
Tutto viene ridiscusso come in una pausa esistenziale, personale e privata, ma anche storica, come a rispecchiare i tempi difficili in cui viviamo, nei quali osserviamo la storia svolgersi ma non pensiamo più di poter agire per mutarne la direzione – in questa nostra dimensione che è post da ogni punto di vista: post-industriale, post-istorica, post-politica, post-etica, post-umana, post-artistica, e anche, profondamente, post-fotografica.
Molti volti e figure abitano queste fotografie riinquadrate: volti di pietra, dipinti, incisi e disegnati, figure rappresentate, figure che sono ombra, volti femminili che silenziosamente giungono a noi dal passato attraverso finestre, tracciati, luci improvvise, lampi di delicato colore – spesso un azzurro tenuissimo. Rappresentano le molte esistenze e storie umane grandi e piccole che da sempre Radino va cercando. La riinquadratura che egli adotta, cioè la variabilità della visione, la mobilità del guardare e del pensare, ci dice che la realtà visibile – così come l’esistenza – muta continuamente e ha sempre bisogno di essere rivissuta e reinterpretata. Ci dice anche che ogni cosa non è nulla se non un frammento strappato al fluire del tempo e delle forme, e che la comprensione del senso delle cose può essere tentata solo attraverso approcci successivi e progressivi avvicinamenti, e nulla più di questo. Francesco Radino utilizza la fotografia, suo strumento espressivo di sempre, come metro sensibile con il quale misurare la
possibilità, ancora una volta,di guardare le cose e di cercare di capire, di orientarsi e di disorientarsi, senza nessuna certezza.
The need to review
As time passes, we can see that the visual fabric Francesco Radino has been weaving for years still teems with words, both directly and indirectly; it is as though his photographs have a weft of images and a warp of words.
Saying this about the work of a lifelong photographer may seem a forced literary metaphor, but this is not the case.
When designing and creating his works, Radino has always ensured his photographs were illuminated, both thoughtfully and ironically, by his words and linguistic inventions. His first major book, published in 1989, was entitled with a pun, Modus Videndi, and was arranged into a series of visual ‘stories’.
Morphosis was the title of a catalogue Radino published in Japan in 1992; although less well known than his other publications, it was still a major work whose title once again orients the images.
Mutazioni, another book, came out in 1994 and introduced a new form of complexity that set his work within time and mirrored his own personal story; this work also contains many of his writings.
Inside was the title of his last book, published in 2001, and was a clear statement that the author’s vision had shifted from the external world to the internal world.
However, this tapestry of images and words, the hallmark of Radino’s work, is also on show in his two recent videos After September Eleven and Storie di terra e di mare [Stories of earth and sea], which were shot in 2002 and 2004 respectively; the first uses written pauses, while the second uses the author’s voice for the narration.
Reframe is the title that encompasses his most recent works within this collection; they are organised into three “stanze del tempo” [rooms of time] and are given precise titles: Metonimie [Metonymies], Stesso tempo [Same time], and Re-visioni [Re-visions]. Once again, strongly, almost insistently, the meaning of the work and its visual form are intricately linked to the title, or rather to a family of titles. The entire piece expresses a need to review, reconsider and rethink photography, time and history in a personal gesture that revisits his work and, we believe, also himself.
These photographs were taken at Oropa, Japan, at Suor Orsola, Naples, and at San Clemente, Rome. They reach back to before painting towards ancient, distant times in search of overlapped, deleted and reconstructed visions; each photograph is reframed, reconsidered, exposed to shadow, and reviewed technologically.
Everything in these photographs is re-discussed: the frame—the engine of a photograph; the relationship between black and white, which Radino has wisely tended and cultivated, and colour, a new dimension to his work since the 1990s; sharpness and blurriness; light and shadow; the tangibility of real things, the transparency of imaginary ones and the thought that actually conjures them up; the distance of figures in art history and the nearness of the technology that can today revisit and reanimate them.
Everything is re-discussed as though within an existential pause, personal, private, yet also historic, one that reflects the difficult times we live in, where history unravels before us, but we no longer think we can act to change its course. This dimension of ours is post, however we look at it: post-industrial, post-historic, post-political, post-ethical, post-human, post-artistic, and most certainly post-photographic.
Many faces and figures inhabit these reframed photographs: faces of stone, painted, engraved and sketched, represented figures, shadowy figures, women’s faces that silently call out from the past through windows, sketches, sudden lights, and flashes of delicate colour, often the subtlest of blues. They represent the many existences and human stories, big and small, that Radino has always sought.
The new frames Radino adopts, namely the variability of vision, the mobility of sight and thought, tell us that visible reality, like existence, changes continually and needs to be relived and reinterpreted. It also tells us that everything is merely a strip torn from the flow of time and forms, and that meanings can only be understood by consecutive approaches and progressive advances; nothing more than this. Francesco Radino uses photography, his time-honoured tool, as a meter that senses what chances we have to see, understand, orient and disorient, without any certainty of succeeding.
Roberta Valtorta