Cinque domande a Francesco Radino, di Filippo Maggia

Intervista a Francesco Radino, di Filippo Maggia Filippo Masggia, intervista a Francesco Radino per il volume INSIDE, Baldini & Castoldi, 2001



Cinque domande a Francesco Radino

Filippo Maggia: Francesco Radino, questo tuo nuovo libro sembra essere, nella sua stessa progettazione e nella sequenza delle immagini apparentemente disordinata, ben diverso dalle tue precedenti pubblicazioni. Rispetto a Mutazioni, uscito nel 1994, che assomigliava a una narrazione per episodi della tua carriera artistica, questo volume è una raccolta di immagini in gran parte inedite che, senza una cosciente organizzazione cronologica o per luoghi, ragiona invece sulla possibilità di vedere la realtà in modo diverso, intimo e personalissimo. E' questo senz'altro il risultato di una maturazione avvenuta negli ultimi anni: puoi raccontarci come si è realizzato questo passaggio?

Francesco Radino: Come hai accennato c'è stato un cambiamento di prospettiva rispetto alle pubblicazioni precedenti. In  Italia di Lucania, il mio primo libro, ripercorro i luoghi delle origini seguendo un itinerario poetico e carico di nostalgia. Nel 1989 Modus videndi è invece costruito secondo un percorso cronologico e per temi, con immagini in gran parte derivate dalla produzione professionale, e dove l'interesse si sposta via via da un'argomento all'altro, sul filo di un linguaggio comune. Prende forma per la prima volta, e in maniera ancora embrionale, una visione del mondo ove l'uomo, la natura, il paesaggio e la città si trasformano in un corpo unico su cui poter indifferentemente posare lo sguardo. In Mutazioni, infine, compaiono anche alcuni scritti che dialogando con le immagini definiscono un percorso esistenziale dove flashback, brevi racconti e riferimenti a temi familiari delineano esperienze fotografiche e umane. Arriviamo così a quest'ultimo lavoro: sono trascorsi sette anni, un tempo lunghissimo in quest'epoca di comunicazioni frenetiche, necessario comunque per allontanarmi dai lavori precedenti e sottrarmi a quel fastidioso rumore di fondo che sembra avvolgere tutto. Molte immagini sono inedite, così come è inedito l'approccio visivo: non contano più il soggetto, l'ubicazione del luogo, la cronologia degli avvenimenti, ma solo il fluire delle immagini, ubiquitarie e senza tempo.

FM: La scelta di sovrapporre due scatti, in alcuni casi solo contaminando l'immagine originale ma in altri arrivando a modificarne decisamente la lettura e il significato così creando una nuova fotografia, pare accentuare ancorpiù la già densa scenografia che ogni volta componi. La stampa poi, particelarmente ricca nei toni grigi, contribuisce a dare all'opera ultima la definitiva caratteristica di "visione" che però non sembra essere partorita dal mondo onirico -come spesso accade nella fotografia- quanto figlia di una ricercata e consapevole sovrapposizione di realtà diverse ma possibili. In questo libero gioco fatto di combinazioni improbabili quanto fortuite la tua figura appare e scompare, come il narratore che conduce chi legge lungo le pagine di un libro accompagnandolo di capitolo in capitolo e, se ne¬cessario, assistendolo nel l'identificazione dei personaggi, dei luoghi, della scansione degli avvenimenti. Abbiamo però detto che questo volume non è fatto di episodi e neppure ha la struttura classica della retrospettiva. La tua figura, più che al narratore, sembra somigliare a quella del l'eremita errante che lascia, di ogni luogo visitato, una testimonianza del suo passaggio e delle esperienze fatte nel trasmigrare continuo da una realtà all'altra. E le fotografie sono, di fatto, le prove di questo viaggio senza fine. Com'è nato tutto ciò -l'idea della sovrapposizione di differenti entità e situazioni- e come sei arrivato a determinare nella tua trasparente apparizione l'elemento fondamentale dell'intero lavoro?

FR: Le immagini degli esordi della fotografia, proprio per i limiti imposti dalla tecnica, si contraddistinguono per i tempi lunghissimi di ripresa: uomini e cose non lasciano che flebili tracce della loro presenza in uno scenario sempre immobile e definito. In questa particolarità, accentuata dall'aura del tempo, risiede molto del loro fascino. Nella fotografia moderna, al contrario, la tecnica permette di "congelare" gli eventi, e il tempo che trascorre all'interno dell'immagine appare brevissimo. Mi mancavano la densità, l'incertezza, il lento trascorrere del tempo e la presenza materiale, fisica oltre che intellettuale, a sottolineare ancor più il mio legame con le immagini. Ha preso così forma questo lavoro ove utilizzo tecniche sempre diverse: quella del doppio o multiplo scatto, delle lunghissime pose, della sovrapposizione di differenti immagini sullo stesso negativo, della contaminazione di elementi differenti e distanti fra loro. In esso appare, sotto molteplici forme, la mia testimonianza fisica oltre che visiva, come quella di un Virgilio che volesse condurre un ipotetico Dante in un moderno girone che tutto comprende ma che non ha né tempo né luogo. Il viaggio non ha inizio, non ha fine: è l'atto stesso del viaggiare a determinare il ritmo dei passi.

FM: La commistione Arte/Stona/Natura, vero e proprio teatro della tua ricerca, è sovente di difficile decifrazione, specie ove agli elementi classici che contraddistinguono e specificano le origini di un'architettura così come di un paesaggio si aggiunge una scelta tecnica, nella ripresa come nella stampa, che destabilizza ulteriormente chi osserva. La sequenza delle immagini, poi, accentua questa sensazione di perdita di riferimenti, rendendo necessario stabilire un nuovo codice di lettura attento al particolare più che alla veduta d'insieme. In un momento in cui le discipline artisti che tradizionali sentono di dover reggere un confronto costante, continuo e sempre più agguerrito con altri ambiti -dall'architettura alla sociologia, dalla politica alla religione- interagendo con essi e producendo così una varietà di interventi fra loro eterogenei ma comunque finalizzati, in gran parte, a emozionare e a sconvolgere, tu sembri andare contro corrente, nella scelta dei temi come delle tecniche e, infine, nei formati adottati nella presentazione dei lavori. E' forse questo il tentativo di indicare un'altra strada -non alternativa, semplicemente "altra"- per ritrovarsi e ricollocarsi in un mondo sottoposto al continuo imperversare di informazioni e, soprattutto, di immagini?

FR: La globalizzazione sta indubbiamente segnando, e in maniera sempre crescente, i percorsi dell'arte contemporanea, e la fotografia può considerarsi sicuramente fra le realtà più contaminate. Personalmente, non ho mai voluto riconoscermi in correnti o tendenze. E sovente è successo che una certa critica, riferendosi ad ambiti di riferimento già chiaramente delineati, abbia faticato a collocare i miei lavori all'interno dei percorsi della fotografia contemporanea. Sono del resto pienamente consapevole che il sistema dell'arte risponda a regole ben definite, e che l'artista sia spinto a uniformarsi a quel sistema se vuole parteciparvi, esserne protagonista: ma andare controcorrente, senza curarmi dell'aria che tira, è stato un gesto naturale di coerenza verso me stesso e la mia storia, senza il quale certamente quest'ultimo lavoro non sarebbe mai nato.

FM: L'altro elemento che ricorre, anzi scorre depositandosi come una leggera e ovattata patina su tutte le immagini raccolte in questo libro è il Tempo. Il Tempo nella sua accezione alta: il Tempo che si legge sulla superficie delle statue, che si percepisce nell'immobilità dei detriti ai piedi delle piramidi, ma anche sulle pareti di una stanza, nelle ombre degli oggetti che essa contiene. Ed è inequivocabilmente lo stesso Tempo che ha cresciuto e alimentato le foreste di bambù o i deserti africani, i pesci e le tartarughe, gli animali tutti compresa la razza umana. Nonostante ciò, più che una presenza autorevole e tirannica alla quale nulla può sfuggire, esso viene manifestato nelle tue immagini come fosse un sentimento che già appartiene a tutte quelle cose o persone o altro che costituiscono la realtà, non solo caratterizzandone la forma estetica quanto nobilitando la loro anima, rendendole tutte ugualmente importanti. Ciò impone un ritmo preciso, lento, nella decodificazione di quel codice di cui prima parlavamo. Quanto è importante sentire il fluire del Tempo in ciò che ci circonda e quanto la conoscenza e la frequentazione di culture lontane ha influito nel tuo modo di rappresentare il mondo?

FR: II Tempo è un'altra delle mie ossessioni. Il tempo passato, quello presente, il tempo che trascorre, quello che consuma e quello che infine inesorabilmente sfugge. Mi viene in mente Seneca: " il presente è brevissimo, tanto da poter sembrare inesistente; infatti è sempre in movimento, scorre, precipita, cessa ancor prima di arrivare...". La fotografia può essere considerata come uno strenuo quanto vano tentativo di imprigionare e imbrigliare la corrente del tempo. Il tempo genera, il tempo divora, nel suo alveo il mondo nasce e poi muore. Uomini, animali, oggetti si nutrono della stessa luce, sono egualmente partecipi dello stesso destino. Il mondo occidentale ha inventato una gerarchla piramidale dove l'uomo sovrasta tutto. Il resto è materia prima da utilizzare, magari da colonizzare, per poi abbandonarla se non distruggerla. In Oriente ho imparato a considerarmi un'infinitesima parte del tutto e penso che le mie fotografie siano una delle innumerevoli testimonianze che concorrono a determinare quello che potremmo chiamare "il sentimento del mondo".

FM: Nel corso degli anni, l'attività professionale ha sovente contagiato la tua personale ricerca, come del resto accade alla gran parte dei fotografi contemporanei sempre più spesso chiamati a interpretare le mutazioni in atto nel mondo. Nel tuo caso mi sembra che gli ultimi anni siano stati però spesi nell'approfondimento e nel perfezionamento di un linguaggio interiore che forse solo per caso incontra i luoghi ove poi viene a materializzarsi in forma di immagini fotografiche. E i segni di questo lavoro di sintesi fra il tuo mondo e la realtà sembrano oggi inquinare anche l'ambito professionale. Forse lo stile, l'elemento estetico è destinato a rimanere nella tua vita artistica un caso irrisolto, al di là delle ovvie modificazioni che negli anni possono intervenire?

FR: In effetti il lavoro professionale ha condizionato per lungo tempo la mia produzione artistica. Negli ultimi anni comunque, anche in conseguenza del ditatarsi degli spazi affidati alla ricerca creativa, ho potuto lavorare più liberamente, come altri fotografi della mia generazione. Ora sento che è venuto il momento di prendere le distanze da alcune produzioni passate per muovermi in una prospettiva più ampia e definita. E, a proposito dello stile, penso che la sua determinazione sia indissolubilmente legata all'esperienza e alla conoscenza. Ci si può avvicinare a uno stilema, aderire a una o più tendenze fra quelle che continuamente affiorano sulla scena dell'arte, ma non appropriarsi di uno stile. Credo che lo stile sia qualcosa che non dipenda dalla volontà o dall'astuzia, ma sia parte della natura profonda e intima di ogni artista. Nel mio caso dunque non potrei, anche volendo, legarmi a una qualche forma definita, proprio perché la mia identità si costituisce intorno alla necessità di una ricerca continua, che a sua volta prevede continue mutazioni di percorso.