Intervista a Francesco Radino a cura di Damiano Barcellone e Federico Pieraccioni per il volume TERRITORIO TOSCANA, campagna fotografica 1977, Arti Grafiche Friulane, 1977
Secondo Henry Cartier Bresson “fotografare è un modo di vivere”, lei che ne pensa?
Henri Cartier-Bresson ha stabilito con coerente lucidità le regole etico-estetiche del suo linguaggio e prima di arrivare alla definizione che citate, non a caso sostiene: “Al fine di dare un significato al mondo, uno deve sentirsi coinvolto in quello che inquadra nel mirino. Questa attitudine richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e senso geometrico;” ... ” Si devono fare fotografie con il più grande rispetto per il soggetto e per se stessi” ... ” E’ mettere la testa, l’occhio e il cuore sulla stessa linea di mira” ... “E’ un modo di urlare, di liberarsi, non di provare o affermare la propria originalità”...
Appare chiaro come egli intenda la fotografia come una ricerca -nel senso socratico del termine- , di “virtù e conoscenza”, e questo porta inevitabilmente, per lui come per molti di noi, a considerarla “un modo di vivere”.
Perché in fondo le immagini fanno parte, anche fisicamente, della vita del fotografo; attraverso di esse assegniamo un ordine e un valore al mondo che mettiamo in scena e al tempo stesso le immagini danno un valore ed un senso alla vita stessa di colui che le ha prodotte.
Ritiene che nella fotografia di territorio si debba utilizzare un metodo scientifico o un approccio al soggetto basato sulla propria personale sensibilità ed esperienza?
Non so cosa possa intendersi come “metodo scientifico” nell’affrontare la rappresentazione fotografica di un territorio né per quale motivo debba essere in antitesi con quella soggettività naturale che è connaturata all’atto stesso di fotografare.
Per quel che mi riguarda cerco di liberare per quanto mi è possibile la mente e lo sguardo da preconcetti visivi o stilistici tentando di entrare in sintonia con un luogo, osservandolo attentamente e a lungo, per poter infine ricordare, riflettere.
Secondo lei è necessario vivere nel territorio che si deve rappresentare?
E’ importante una conoscenza storica dello stesso?
Non so se sia necessario so solamente che non è quasi mai possibile. La condizione stessa del fotografo-viaggiatore, incaricato qua e là di offrire il suo sguardo ad un mondo indaffarato e disattento, fa si che la sua esperienza sia legata a percorsi sempre nuovi, lungo territori sovente assai distanti, sia storicamente che geograficamente, fra loro.
Quando viaggio alla scoperta di questi luoghi, provo uno uno stato d’animo particolare di irrequietezza e di disagio, che non so ben spiegare ma che è espresso in una poesia di Hermann Hesse intitolata “Di fronte all’Africa”.
“... Per me è meglio cercare e mai trovare,
Che legarmi stretto a quanto mi è vicino,
Perché su questa terra, anche nel bene,
Sarò sarò sempre un ospite e mai un cittadino.”
Cosa ricerca d analizza nel territorio che viene incaricato di fotografare?
Questa è una domanda a cui è assai difficile dare una risposta convincente e sulla quale, cercando di individuare delle gerarchie di interesse, si è molto si è dibattuto.
Le risposte più frequenti fanno riferimento a concetti etici ed estetici molto diffusi:
la ricerca delle tracce dell’uomo e della sua esperienza, lo spirito dei luoghi, l’incontro e lo scontro fra natura e cultura, il riconoscimento del linguaggio delle forme, il desiderio d’ordine e d’armonia, la volontà di stupire e di essere stupiti, la necessità di testimoniare le miserie e le grandezze del mondo e così via.
Pare che il mondo occidentale non possa fare a meno di nutrirsi di certezze tanto da richiedere a ciascuno di noi di mostrare con orgoglio il proprio sapere, e guai a chi dubita e non ha chiara la via.
Per questo mi è difficile rispondere e sapendo di non sapere, di volta in volta lascio fluire le immagini, le quali, nella loro silenziosa saggezza, sanno essere più eloquenti di quanto non possa la mia incerta retorica.
Quale è il suo giudizio circa la fotografia come medium di rappresentazione del territorio?
Credo sia evidente che la fotografia possa essere, così come ogni altro mezzo espressivo di cui si avvale un’artista, un “medium”nella rappresentazione della realtà.
Semmai il problema è un altro e non risiede nella potenzialità intrinseca del mezzo quanto nella capacità di produrre linguaggi profondamente veri, capaci di sottrarsi e di distinguersi dal fastidioso rumore di fondo prodotto dalla cattiva fotografia, dal mercato e dai suoi meccanismi di successo, dove tutto si omologa e si confonde.
1 novembre 1997