Viaggio nell'iperluogo, di Enzo Biffi Gentili


Enzo Biffi Gentili, per il volume " A regola d'arte, monumenti futuri"  Ed. Modo 1999


Viaggio nell’iperluogo

(…)  È molto forte, in tutti, l’attenzione allo specifico fotografico e ai modi della rappresentazione architettonica. Non mi farò ipnotizzare da quella luce "fantomatica" dell’epigrafe che Francesco Radino ha voluto apporre all’inizio delle riproduzioni delle due fotografie nella Basilica di San Clemente a Roma. Né dalla sacralità del luogo. Piuttosto mi interessa, di Radino, l’osservazione empirica del fenomeno per cui, sotto terra, la luce artificiale direttamente proiettata fa gemmare la vita con muschi e capelveneri, che poi marcendo creano altre chiazze d'ombra, mentre laddove la fonte luminosa è schermata da un ostacolo, e non raggiunge una parete, questa rilascia chiarore. La luce è l’ombra, l’ombra è la luce, o la vita è la morte, e la morte è la vita, ma saremmo da capo.  Sottolineo, ora, solo l’acutezza concettuale dell’operazione. Ma poi Radino, horribile visu, si mette a "combattere per un'immagine", accostando in tavole a fronte una sua fotografia e una forma di rappresentazione pittorica di San Clemente. Molti e soprattutto Claudio Marra considererebbero assolutamente non giudizioso l'accoppiamento tra un particolare fotografico del pavimento cosmatesco della Basilica e un quadro del’artista insigne Guido Strazza, in una omografia esasperata dalla ricerca di similitudini nei tagli e nell’angolarità delle immagini. Tuttavia l’operazione è equivoca poiché poi instilla il sospetto di una possibilità di maggiore "realismo" del disegno, anche se non tecnico, rispetto al mezzo meccanico e di una sua maggiore utilità progettuale (così come avviene nelle tavole degli atlanti anatomici che consentono una leggibilità del reperto, e conscguentemente una operatività, maggiori).
La fotografia viene così riaffermata come pratica artistica "simbolica". Infine questa ricerca di Radino su differenti San Clemente, secondo varie modalità rappresentative, fa scattare l’associazione, di nuovo, con notissimi approcci analitici, linguistici, autoriflessivi dell’arte contemporanea.


Journey in the hiperplace

(…)  In all these authors, there is a marked attention towards the photographic medium and the methods of architectural representation. I will not allow myself to be hypnotized by that "spectral" light of the epigraph that Francesco Radino wished to place at the start of the reproductions of the two photographs in the Basilica of San Clemente, Rome. Neither by the sacrality of the location. Rather, I am interested in Radino's empirical observation of the phenomenon by which, underground, a direct projection of artificial light creates jewels of life in the form of moss and maidenhair, that when they rot create other areas of shadow, while where the source of light is screened by an obstacle and does not illuminate a wall, the latter produces a gentle clarity. Light is shadow, shadow is light, or life is death, and death is life, but we would end up where we started from. For the moment I just wish to underline the conceptual acuity of the operation. But then Radino, amazingly, begins to "fight for an image". In other words, he uses painting and drawing as a yardstick, juxtaposing a traditional depiction of San Clemente alongside his in synoptic tables. Many, and above all Claudio Marra, would feel that pairing a photographic detail of Cosmati's floor of the Basilica with a picture by skilled painter and draughtsman Guido Strazza, in a meticulous homographic search for similarities in frame and images, is inadvisable. However the operation is ambiguous in that it engenders a suspicion of a possibility of greater "realism" in drawing, though not technical drawing, when compared to the mechanical means, and a greater usefulness to design (as in the case of illustrations in anatomy books that improve the legibility of specimens and make it easier to work on them).
Photography thus reaffirms its status as an independent artistic activity. Finally, Radino's study of San Clemente, which in the terms of depiction comprise a plural environment, cannot fail to suggest a link, once again, with familiar analytical, linguistic, reflexive approaches in contemporary art.